domenica 23 settembre 2012

Peel that apple.

A metà degli anni Trenta, quando ad Harlem impazzava il Lindy Hop,
una piccola comunità di neri a Columbia, in South Carolina, aveva un ballo tutto suo, senza nome,
che probabilmente affondava le radici nel "ring shout" degli schiavi africani, una danza rituale in cui si ballava in cerchio, ripetendo gesti e movimenti invocati da un "capo-cerchio".

Il locale in cui ballavano (l'edificio era stata una sinagoga, il che rende
le origini religiose di quel ballo ancora più affascinanti...) si chiamava
Big Apple Night Club.
Nel 1936 tre studenti bianchi passarono di lì con la macchina, accostarono, riuscirono a convincere i gestori a lasciarli entrare e assistere sulla balconata (praticamente tutti i locali erano segregati, dove erano i bianchi non entravano
i neri e viceversa) e rimasero folgorati da quello che videro.
Quel ballo senza nome era liberatorio, estremamente divertente ("esilarante!"),
e dava l'occasione ai timidi di ballare restando ai margini del cerchio e ai più baldanzosi di "splendere" a turno al centro del cerchio.
Quei tre ragazzi tornarono e tornarono, portando nuovi amici, cercando di imparare ogni mossa e tirando monetine ai ballerini dalla balconata (un juke joint era un locale in cui la musica era fornita dal juke box, se finivano le monetine, finiva la musica e non si poteva continuare a ballare);
così "rubarono" ai neri quel ballo, battezzandolo come il luogo in cui l'avevano scoperto.
"Semplicemente ti mettevi in gruppo e cominciavi a seguire".
La Big Apple si sparse a macchia d'olio fra gli studenti dei college del paese fino alle più famose sale da ballo che da Est a Ovest gridavano dai loro cartelloni:
"Stasera la BIG APPLE! Il ballo che tutti possono fare!".


Il 20 dicembre, appena un anno dopo quella gita in Carolina, quattro paginoni di LIFE decretarono che il 1937 sarebbe rimasto negli annali come "l'anno della Big Apple".

Come si è arrivati dunque, da questo ballo che ha imperversato nelle sale di tutta l'America come "il ballo che tutti possono fare", alla complessa coreografia del film "Keep Punchin'" (1939) e delle performance di ballerini professionisti e insegnanti internazionali di Lindy Hop nei camp e festival di tutto il mondo?

Nell'autunno del '37 Frankie Manning, insieme ad altri ballerini della squadra di Whitey del Savoy, era diretto ad Hollywood per girare un film con Judy Garland, "Everybody Sing".

Appena arrivato, Frankie ricevette una lettera da Whitey, che gli diceva che in giro per il paese era scoppiata 'sta pazzia danzereccia di nome Big Apple, fatta più o meno così e cosà, con un Suzie Q qua e un Boogie là, insomma inventati una tua versione e piazzala nel film.

E così Frankie fece, inventando una routine che era molto simile a quella che tutti conosciamo in Keep Punchin'.
Ma non impazzite a cercare su Youtube la prima versione, quella di Everybody Sing, perché gli Whitey's Lindy Hoppers, dopo settimane passate a lavorare alle scene, vennero tagliati a causa di una divergenza di opinioni fra Whitey e il regista.

Così, mentre nel film Judy Garland se ne andava cantando per Chinatown invece che per le vie di Harlem, la variante della Big Apple di Frankie tornò con lui a casa, a New York, al Savoy, dove divenne una delle performance di punta
della sala da ballo più famosa del Lindy.

Ad onor della Storia, dunque, e del Vero, dovremmo dire che esistono due versioni della Big Apple,
la "Frankie Big Apple", una coreografia regalata ai posteri dal film Keep Punchin',
che richiede una forma fisica mediamente buona, e diverse ore di studio e prove,
e la "Carolina Big Apple", una social dance in circolo con un caller che chiama le figure,
quell'esilarante ballo "che tutti possono fare".

Come sempre, il Lindy è grande, e ce n'è per tutti i gusti, piedi, età, attitudini, e capacità polmonari.


In questo video un Frankie Manning ormai 93enne insegna la Big Apple (chiamata)
ad un gruppo piuttosto eterogeneo di ballerini di Seattle.


CURIOSITA': C'è chi addirittura ha azzardato che il soprannome di New York, "the Big Apple", derivasse dal ballo, ma non è così.
Un giornalista sportivo del New York Morning Telegraph di nome John J. Fitz Gerald lo usò come tormentone nei suoi articoli durante gli anni '20; aveva "rubato" il termine a uno stalliere nero di New Orleans, che usò l'espressione "Big Apple" (che significava una corsa su cui scommettere, una "di quelle buone", un circuito di successo) per indicare New York.
Il soprannome prese piede, e nel '34 ad Harlem aprì il primo club "The Big Apple", seguito poi da numerosi altri, come, guarda caso, la nostra ex-sinagoga in South Carolina.
Possiamo perciò dire che il titolo della nostra Big Apple venne indirettamente ispirato da uno stalliere senza nome. Allora questa pagina potrebbe chiudersi con una targa commemorativa virtuale, che reciti più o meno così:




"ALLO STALLIERE AFRO-AMERICANO DELL'IPPODROMO
FAIR GROUNDS DI NEW ORLEANS
CHE NEGLI ANNI VENTI PER PRIMO
SI RIFERI' A NEW YORK COME "THE BIG APPLE"
REGALANDO IL SOPRANNOME
AD UNA DELLE CITTA' PIU' FAMOSE DEL MONDO
ED IL NOME AD UN BALLO DA MOLTI AMATO."




Lindynerd.

1 commento:

  1. Grande Lucie!
    Continua a scavare nella storia del lindy e a raccontarci tutti i particolari di ciò che scopri. La tua penna è affascinante...
    Viva i lindy-nerd :-)
    Questo blog È VIVO !
    Ilario

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