venerdì 20 settembre 2013

Great days.

Una mattina, ad Harlem.
1958.
Uno scatto di un non-ancora-fotografo.
Probabilmente la foto più importante della musica del secolo.
Un set incontrollabile, la strada, e il maggior numero di jazzisti che si riuscissero a mettere insieme, ecco gli ingredienti per un giorno passato alla Storia.


E vedere tanti musicisti dell'epoca presentarsi ad un appuntamento alle 10 del mattino fu davvero un evento di portata storica...


Fra loro spicca il nome amato di Count Basie. Ed è stato proprio sugli scalini della Columbia University che aveva appena ospitato il centennale del Conte dello Swing che, in un altro grande giorno, nel 2004, si svolse una rievocazione del Grande Giorno ad Harlem, in chiave Lindy Hop.

Quel sabato di Ottobre, a distanza di oltre 40 anni da quella prima foto ad Harlem, si riunirono oltre 400 lindyhoppers di tutto il mondo per immortalare "A Great Day in Lindy".
Decine e decine di old timers, ex Whitey Lindy Hoppers, insieme a buttafuori e cassiere del Savoy, e ballerini di ultima generazione. Fra loro Frankie Manning, Norma Miller, Dawn Hampton, Ruthie Rhinegold, e, fortunatamente per noi, Peter Loggins. Sul suo blog racconta accuratamente di quel giorno, ed è, assieme ad alcuni scatti su Flickr praticamente l'unica traccia rimasta in rete di un evento che deve essere stato emozionante e fondante, e che forse tornerà ad essere ricordato quando ogni singolo ballerino storico ci avrà lasciati.

A Great Day In Lindy Hop

Ma perché aspettare?

A Roma, in questa scena in piena espansione, vogliamo provare a ricordare quei due grandi giorni con una foto tutta nostra, all'inizio di una stagione di ballo che vede centinaia di iscrizioni nelle classi beginners, e una nuova schiera di insegnanti pronti a condividere questa passione a più persone possibile, e un numero imprecisato di nuove piste su cui battere i nostri piedi scalpitanti e far suonare i nostri strumenti squillanti.
A Great Day in Rome.

Ci incontreremo anche noi, un sabato d'Ottobre, per fermare il tempo, per scattare un'immagine di chi balla e suona lo Swing a Roma oggi, per potercela stampare, appendere, raccontare fra 10 anni e dirci "guarda chi c'era!".

Do not miss it.

--> UPDATE! L'appuntamento è sabato 5 ottobre in Piazza Vittorio, angolo via Napoleone III, ore 15,30.
Potrebbe piovere. Il giorno stesso si valuterà la clemenza degli elementi...

PS: Se avete la fortuna di capire l'inglese, (o leggere lo svedese), su youtube è sfuggito - per ora - alle maglie della polizia del Sacro Ordine del Copyright, un intero documentario di un'ora su quel grande giorno ad Harlem.


mercoledì 14 novembre 2012

Lindy Hope.

Volevo scrivervi di Genova, del Be-Lindy Zena Camp.
Ma non lo farò.
Almeno, non ancora.
E' che lì, per la prima volta in Italia, ho incontrato Jamin Jackson.
Sono già mesi che leggo il suo blog, dove ho potuto nuovamente constatare come spesso l'ispirazione nel ballo può accoppiarsi all'ispirazione sul lato umano. Ma è cosa prevedibile, vista l'eredità che ci ha lasciato Frankie Manning (Pling! Ma ogni volta che nomino FM mi pagano? No. Allora chissà perché insisto...).

Jamin è un giovane di successo, nella sua vita personale e lavorativa, e ovviamente nella sua strada di Lindy Hopper. Nel suo blog ci sono moltissimi consigli, sia pratici sulla pista, che intimamente personali, alcuni dei quali di un'illuminante semplicità.
Uno di questi, non certo una novità, intediamoci, sulla carta, ma nel 90% del tutto ignorata nelle nostre vite quotidiane, è quella che il nostro successo viene determinato da una serie interminabile di piccole scelte.

Questo mi ha fatto riflettere sull'abitudine, sul "costume" della nostra scena romana, di fare costantemente, piccole, insidiose scelte sbagliate.
Mi sono chiesta perché tanto spesso scegliamo di dire la cosa peggiore, di allearci con l'esempio peggiore del momento, di assumere atteggiamenti dentro e fuori la sala da ballo che non aiutano nessuno, né noi stessi, né i nostri amici o partner di ballo, nè la nostra scena.
Perché? Tutti noi siamo stati, per vie diverse e traverse, portati al Lindy Hop.
Tutti ne condividiamo l'eccitazione, la grande soddisfazione e l'euforia unificante, eppure quando ci troviamo a scegliere fra A o B, tendiamo a scegliere l'opzione che ci allontana, o immediatamente o a lungo termine, proprio da quanto tutti condividiamo.
Quest'estate, in vacanza, con aria fresca e meno impellenze quotidiane, forse ho trovato un piccolo barlume di lucidità, che prima che scomparisse del tutto ho voluto fermare sulla carta (bugia, era una tastiera), per condividerlo con i pochi che sono arrivati a leggere fin qui.
La risposta che mi sono data è che le persone che non scelgono il meglio, tendono ad essere una compagnia assai rassicurante.

Immaginate la conversazione fra due persone, entrambe umane, perciò con i loro difetti, le loro fragilità, i loro blocchi mentali, di fronte ad un argomento, facciamo il caso, che so, di un nuovo giovane insegnante che "irrompa" in città; la prima persona, diciamo Gino, sceglie di non sbilanciarsi in giudizi nè positivi nè negativi, per non prendere da subito una posizione.
☛  Non prendere una posizione, solitamente, tende ad essere una scelta non del tutto negativa, ma certo non rientra nella categorie delle "scelte buone".
La seconda persona, facciamo Pino, sceglie, visto che la precedente "posizione non-posizione" gliene lascia l'opportunità (che fa l'uomo ladro...), di virare su una posizione del tutto negativa, parlando male, stroncando sul nascere il nuovo arrivato e spettogolandoci magari un po'.

Gino a questo punto si trova davanti a tre scelte:

A) ribadire la propria confortevole neutralità
B) lasciarsi trasportare ed avallare se non rafforzare in peggio la chiacchierata alle spese (e alle spalle) del malcapitato
C) scegliere di contrastare l'onda negativa e apportare alla conversazione argomentazioni positive e aperte.

In caso di A) o B) Gino & Pino si saluteranno molto tranquilli, avendo l'altro ribadito a sé stesso che si può essere persone mediocri senza sentirsene troppo in colpa.
Ma una persona che scelga, caparbiamente, di virare la propria umanissima piccolezza verso un'ipotetica persona migliore, è una compagnia mooolto meno tranquillizzante.
Ti infastidisce quando non dà spazio al tuo peggior pensiero, tenta di sedartelo e magari ti manda a casa col tarlo nella testa che anche tu potresti tendere ad un te stesso un po' meno meschino, un po' meno preoccupato del tuo orticello, un po' meno attaccato all'immagine gonfiata di te.

Credo che sia molto più facile che una persona positiva venga lasciata isolata, piuttosto di una che magari tenga il piede in mille scarpe, che pensi sempre male e abbia una "parolina di fiele" per tutti.
Ma credo anche che, come le scelte determinano chi sei, sul lungo percorso, determineranno il tuo successo o fallimento.
Se il Lindy Hop ci ha trovato, chi a 20 anni chi a 40, chi per un concerto chi per un film, chi per un caso chi per un amico, e ci troviamo oggi a Roma in poco più di 100 a condividerne la passione/ossessione/possessione, credo che abbiamo tutti di fronte una serie molto lunga di scelte da fare.
Molto lunga perché ogni giorno ne abbiamo da fare, Lindy-parlando, almeno 2 o 3, e perché auguro a questa scena romana una longevità ben più estesa della mia.
Ma non è scontato. Ho letto di scene più grandi della nostra che si sono perse, sono sfumate per scomparire senza ritorno.
Ciascuna di queste piccole Lindy-scelte conta.
Conta molto più di quanto non pensi.
Se pensi che la tua piccola scelta, nell'intimità di una conversazione telefonica, magari ancor più se sei un principiante, conterà poco per il futuro del Lindy Hop a Roma, ti sbagli di grosso. Nessuno sa se diventerai uno dei leader di questa comunità, nessuno può sapere chi abbandonerà e chi resterà, nessuno sa quanto il tuo apporto sarà significativo per un'altra persona; perciò scegliere fra A o B, fra meglio o peggio, fra te come sei sempre e te migliore-di-te, conta davvero.

E non parlo di dire frasette buone per far bella figura e magari tenersi buono qualcuno, dico proprio PEN-SA-RE DI-VER-SO, di sfidarci esseri umani migliori e più grandi, più aperti, sì, OMG! lo dico: più buoni.

☞ Perché penso che una scena positiva, meno acida e chiusa, crescerà più forte e veloce verso l'essere "comunità", perché penso che in generale, dopo una settimana con quel testa di cazzo di capo ufficio, sia bello spendere il proprio tempo libero in un ambiente positivo. ☜

E infine perché penso che karmicamente il buono e il brutto ti tornano sempre indietro.

Io ci provo, chi mi conosce lo sa, non sempre ci riesco. Ma se ci si prova in due, o tre, magari ci vengono dietro pure altri, no? Insomma, io spero.




Lindynerd

Post Scriptum: il giorno dopo aver scritto queste righe, ho trovato questo sul sito della Frankie Manning Foundation:

"I feel like the most valuable legacy Frankie left us was not his steps, or his technique, or his style or his aerials or his choreography, or anything that happened on the dance floor. The legacy he left us was his beauty as a person, the warmth that has enfused the entire dance, and the entire community. Lindy Hop has come to be synonymous with the joyful energy and loving cameraderie that marks the global community, and THAT is the greatest gift that Frankie has left us."

"Sento che l'eredità di maggior valore che ci ha lasciato Frankie non erano i suoi passi, o la sua tecnica, o il suo stile o gli aerials o le coreografie, o niente che avesse avuto luogo sulla pista da ballo. L'eredità che ci ha lasciato è stata la sua bellezza come persona, il calore che si è riversato nell'intero ballo, e nell'intera comunità.
Il Lindy Hop è arrivato a diventare sinonimo dell'energia gioiosa e amorevole cameratismo che contraddistingue la comunità globale, ed è QUESTO il più grande dono che Frankie ci ha lasciato."

          Forse, dedicarsi all'energia gioiosa e all'amorevole cameratismo almeno quanto ci si dedica alla tecnica e alle figure, farebbe della nostra piccola scena in crescita davvero una casa "per i piedi felici",
e per il Lindy Hop. Almeno quello che, fiduciosamente, ci ha lasciato in eredità Frankie Manning, e con lui tutti gli "old timers" che non ci sono più.




giovedì 4 ottobre 2012

Verboten.

Sono due anni che ronzo intorno a un libro.
L'ho prima comprato in inglese, forse troppo presto per il mio english in progress, così mi sono accaparrata una delle poche copie rimaste in commercio di "Musica degenerata. Il jazz sotto il nazismo".
La traduzione italiana mi ha salvato, mi ha permesso di cominciare questo viaggio, spigoloso e a tratti surreale, del musicista/scrittore Mike Zwerin, nel jazz in Europa ai tempi del Terzo Reich.
Un libro che, lo ammetto, non sono in grado di leggere tutto d'un fiato.
Scommetto che fra un anno non l'avrò ancora finito.

E' come una di quelle relazioni che interrompi quando ti coinvolge troppo, quando ti tocca dei nervi che vorresti tenere sedati per sempre.
Però prima o poi torni sempre lì, perché quello che vuoi alla fine è affrontarti e odi chi te lo fa fare, ma lo ami anche.

Colui che l'ha scritto ci ha perso un bel po' di salute, quando negli anni '80 tutti volevano godersi un più che soddisfacente presente e dimenticarsi in un armadio il passato.
E se lo si lascia entrare, leggendolo, questo trombonista dalla penna altalenante come il suo jazz, un po' di salute te la strappa anche a te, assieme a splendidi sorrisi, risate amarognole e più ombre e domande di quante ne avevi all'inizio della pagina.

Tutto questo intro per lasciare qui una traduzione che ho fatto di un piccolo brano del libro; perché intanto il mio inglese cambia e cresce, e mi permetto di pensare che, gratitudine intoccata alla versione italiana, posso migliorarne qualcosina.
Ad esempio la traduzione di "trying a bit too hard to be friendly" con "un po' troppo duro per essere definito amichevole" non mi era andata tanto giù, ecco.

E poi volevo fare un regalino con le mie mani, come faccio ormai da anni, ai miei amici, Lindy Hoppers e non.
Ecco dunque la traduzione, già comparsa su Facebook, ma che volevo affidare alle pagine di questo diario.

"Una sera, durante l'autunno del 1941, Nicolas Dor ascoltava dischi di Lester Young in un bar di Liegi. Le proprietarie erano tre sorelle, che gestivano anche il bordello al piano di sopra. Una di loro venne e disse sotto voce: "Quei due ufficiali tedeschi laggiù vogliono parlarti".
Dor non voleva parlare con loro. "Non parlo tedesco", disse.
"Ma loro parlano inglese", rispose.
Lei era un'amica. Lui un cliente fisso. Non volevano guai.
La signora fece le presentazioni: "Questo è il batterista di cui vi ho parlato".
Dor era il leader di un combo che prendeva a modello John Kirby, il suo idolo. Suonavano alle serate a sostegno dei prigionieri di guerra Belgi - "Every Tub" di Count Basie, "920 Special", pezzi così.
Il programma 'Radio Brussels', della fascia dalle 7 alle 9 del mattino e che aveva un enorme audience fra le persone che si preparavano per andare a lavorare, mandava in onda una jazz band. Musicisti jazz suonavano nei club tutta la notte fino alla fine del coprifuoco alle 6 del mattino, poi andavano alla stazione radio. Ed era pieno di posti in cui suonare all'ora di pranzo.
La Seconda Guerra Mondiale è stata l'età dell'oro del jazz Belga.
"Sappiamo che hai dei dischi di Jimmie Lunceford", disse uno dei tedeschi, calcando un po' la mano nel suo tentativo di essere amichevole.
"Ci piacerebbe ascoltarli, una volta o l'altra. Noi suoniamo la tromba".
Dissero che avevano lavorato con Jack Hylton, un famoso bandleader influenzato da Paul Whiteman, prima della guerra.
Anche se fossero stati fratelli sotto le uniformi, era inequivocabile il sottinteso: si trattava in ogni caso di un ordine.
E chi poteva essere sicuro che fossero chi dicevano di essere?
Dor gli diede il suo indirizzo controvoglia.
Tre giorni dopo, era a cena coi genitori quando suonò il campanello.
Sua madre andò alla finestra ed esclamò: "Ufficiali tedeschi!"
Dor sbirciò fra le tende. "Tutto a posto", la rassicurò, "sono amici miei".

Sospettò che la madre lo avesse sospettato di collaborazionismo, finché, dopo una tazza di caffè, uno degli ufficiali le disse: "Se succedesse che vogliono mandare suo figlio in Germania, mi chiami". Ogni giorno veniva spedita gente al lavoro coatto.
Le appuntò il suo numero di telefono.
Dor e i tedeschi se ne andarono nella sua stanza, ad ascoltare per ore quella "musica americano-negro-giudea da giungla".

La citazione è di Joseph Goebbels, che aveva bandito il jazz, insieme col foxtrot e il tango. Sebbene provasse repulsione per "l'orrida cagnara" del jazz, si rese presto conto che lo swing fra una filippica e l'altra manteneva alta l'audience.
E in ogni caso sia la portata del divieto che la definizione della musica vietata erano entrambe piuttosto vaghe. Nessuno era mai riuscito a definire con successo il jazz, che è una delle ragione per cui lo amo tanto.

Fino a poco prima dell'Offensiva delle Ardenne (l'ultima grande battaglia strategica tedesca sul fronte occidentale dic'44 - gen'45, NdT), la Stan Branders Big Band suonava musica di ebrei americani e compositori neri a Radio Brussels senza censurarne i nomi.

"Softly As In A Morning Sunrise' di Sigmund Romberg," annunciavano. "J'ai Du Rhythme' di George Gershwin".
"Duke's Idea' di Charlie Barnet".
Se questa musica era vietata dalla legge, nessuno sembrava rispettarla.
Quindi non era chiaro se Dor e i tedeschi stessero violando la legge.
Dor controllò con attenzione giù in strada, prima di farli uscire.

Due mesi dopo ricevette l'ordine di presentarsi per un'ispezione medica. Telefonò al tedesco, il quale si presentò, scrisse un appunto, e disse: "Vacci, ma digli che hai già ricevuto lo stesso ordine".
"Questa è la seconda volta che sono dovuto venire qui con un pezzo di carta come questo", disse Dor all'impiegato, che segnalò la cosa al suo ufficiale supervisore.
Ebbero un bel grattacapo controllando gli incartamenti. L'impiegato tirò fuori un documento: "Lei non ha mai ricevuto una copia di questo?"
Cercò di mantenere la calma. Si trattava di un esonero ufficiale, infilato nell'incartamento da un certo trombettista tedesco, riguardante una tubercolosi inesistente.
"No," disse, "mai".
Seccato da quell'inceppo nell'efficenza Ariana, il supervisore timbrò il documento e Dor passò il resto della guerra a suonare pezzi di John Kirby.

Quarant'anni più tardi, divenuto produttore della TV belga francofona, nella splendente sala da pranzo della sede della sua emittente, Dor mi sorrideva dicendo:

"Vedi? Il jazz mi ha salvato la vita".
 
Molti jazzisti non ebbero la sua fortuna.
A loro una promessa, di continuare a farci toccare nervi che mai e poi mai dovremmo lasciare addormentati.






domenica 23 settembre 2012

Peel that apple.

A metà degli anni Trenta, quando ad Harlem impazzava il Lindy Hop,
una piccola comunità di neri a Columbia, in South Carolina, aveva un ballo tutto suo, senza nome,
che probabilmente affondava le radici nel "ring shout" degli schiavi africani, una danza rituale in cui si ballava in cerchio, ripetendo gesti e movimenti invocati da un "capo-cerchio".

Il locale in cui ballavano (l'edificio era stata una sinagoga, il che rende
le origini religiose di quel ballo ancora più affascinanti...) si chiamava
Big Apple Night Club.
Nel 1936 tre studenti bianchi passarono di lì con la macchina, accostarono, riuscirono a convincere i gestori a lasciarli entrare e assistere sulla balconata (praticamente tutti i locali erano segregati, dove erano i bianchi non entravano
i neri e viceversa) e rimasero folgorati da quello che videro.
Quel ballo senza nome era liberatorio, estremamente divertente ("esilarante!"),
e dava l'occasione ai timidi di ballare restando ai margini del cerchio e ai più baldanzosi di "splendere" a turno al centro del cerchio.
Quei tre ragazzi tornarono e tornarono, portando nuovi amici, cercando di imparare ogni mossa e tirando monetine ai ballerini dalla balconata (un juke joint era un locale in cui la musica era fornita dal juke box, se finivano le monetine, finiva la musica e non si poteva continuare a ballare);
così "rubarono" ai neri quel ballo, battezzandolo come il luogo in cui l'avevano scoperto.
"Semplicemente ti mettevi in gruppo e cominciavi a seguire".
La Big Apple si sparse a macchia d'olio fra gli studenti dei college del paese fino alle più famose sale da ballo che da Est a Ovest gridavano dai loro cartelloni:
"Stasera la BIG APPLE! Il ballo che tutti possono fare!".


Il 20 dicembre, appena un anno dopo quella gita in Carolina, quattro paginoni di LIFE decretarono che il 1937 sarebbe rimasto negli annali come "l'anno della Big Apple".

Come si è arrivati dunque, da questo ballo che ha imperversato nelle sale di tutta l'America come "il ballo che tutti possono fare", alla complessa coreografia del film "Keep Punchin'" (1939) e delle performance di ballerini professionisti e insegnanti internazionali di Lindy Hop nei camp e festival di tutto il mondo?

Nell'autunno del '37 Frankie Manning, insieme ad altri ballerini della squadra di Whitey del Savoy, era diretto ad Hollywood per girare un film con Judy Garland, "Everybody Sing".

Appena arrivato, Frankie ricevette una lettera da Whitey, che gli diceva che in giro per il paese era scoppiata 'sta pazzia danzereccia di nome Big Apple, fatta più o meno così e cosà, con un Suzie Q qua e un Boogie là, insomma inventati una tua versione e piazzala nel film.

E così Frankie fece, inventando una routine che era molto simile a quella che tutti conosciamo in Keep Punchin'.
Ma non impazzite a cercare su Youtube la prima versione, quella di Everybody Sing, perché gli Whitey's Lindy Hoppers, dopo settimane passate a lavorare alle scene, vennero tagliati a causa di una divergenza di opinioni fra Whitey e il regista.

Così, mentre nel film Judy Garland se ne andava cantando per Chinatown invece che per le vie di Harlem, la variante della Big Apple di Frankie tornò con lui a casa, a New York, al Savoy, dove divenne una delle performance di punta
della sala da ballo più famosa del Lindy.

Ad onor della Storia, dunque, e del Vero, dovremmo dire che esistono due versioni della Big Apple,
la "Frankie Big Apple", una coreografia regalata ai posteri dal film Keep Punchin',
che richiede una forma fisica mediamente buona, e diverse ore di studio e prove,
e la "Carolina Big Apple", una social dance in circolo con un caller che chiama le figure,
quell'esilarante ballo "che tutti possono fare".

Come sempre, il Lindy è grande, e ce n'è per tutti i gusti, piedi, età, attitudini, e capacità polmonari.


In questo video un Frankie Manning ormai 93enne insegna la Big Apple (chiamata)
ad un gruppo piuttosto eterogeneo di ballerini di Seattle.


CURIOSITA': C'è chi addirittura ha azzardato che il soprannome di New York, "the Big Apple", derivasse dal ballo, ma non è così.
Un giornalista sportivo del New York Morning Telegraph di nome John J. Fitz Gerald lo usò come tormentone nei suoi articoli durante gli anni '20; aveva "rubato" il termine a uno stalliere nero di New Orleans, che usò l'espressione "Big Apple" (che significava una corsa su cui scommettere, una "di quelle buone", un circuito di successo) per indicare New York.
Il soprannome prese piede, e nel '34 ad Harlem aprì il primo club "The Big Apple", seguito poi da numerosi altri, come, guarda caso, la nostra ex-sinagoga in South Carolina.
Possiamo perciò dire che il titolo della nostra Big Apple venne indirettamente ispirato da uno stalliere senza nome. Allora questa pagina potrebbe chiudersi con una targa commemorativa virtuale, che reciti più o meno così:




"ALLO STALLIERE AFRO-AMERICANO DELL'IPPODROMO
FAIR GROUNDS DI NEW ORLEANS
CHE NEGLI ANNI VENTI PER PRIMO
SI RIFERI' A NEW YORK COME "THE BIG APPLE"
REGALANDO IL SOPRANNOME
AD UNA DELLE CITTA' PIU' FAMOSE DEL MONDO
ED IL NOME AD UN BALLO DA MOLTI AMATO."




Lindynerd.

martedì 27 dicembre 2011

A Christmas Carole.

Questa è la storia epica di un giovane operaio in una fabbrica di pneumatici, con le orecchie a sventola e i denti storti, ed una ragazzetta formosa e bellina, che si ritrova catapultata, dalla sua anonima cittadina dell'Indiana, nientepopodimenoche a Los Angeles.

E' il 1921. Lui ha 20 anni, lei appena 12.

Mentre lui si lancia all'avventura con una compagnia itinerante, attrezzandosi a fare qualsiasi mestiere per mantenersi, lei gira il suo primo film, "A Perfect Crime".
Lui sposa una più matura proprietaria di compagnia teatrale che gli insegna le buone maniere, lei incontra un regista che farà di lei una disinibita "Bellezza al bagno" e una saporita attrice comica.




Fra matrimoni e divorzi, operazioni di chirurgia estetica e torte in faccia, le carriere dei due procedono parallele, fino ad incontrarsi, in un bacio freddo e insipido quanto un semolino lasciato in frigo dal giorno prima, nel film "No Man of Her Own". E' il 1932 e fra i due non succede un benemerito niente.

Ma galeotto fu il ballo.

La donna, diventata una fra le più belle ed affascinanti attrici di tutti i tempi, se la cava niente male in materia.
Dal Charleston trasgressivo degli inizi, era passata a padroneggiare i più carichi e sensuali passi del Bolero e della Rumba.



Così, quando i due si incontrano un sabato sera di gennaio del 1936, al White Mayfair Ball, ballano insieme quasi tutta la sera, litigando per quel che ne resta. Pare che l'intrigato Clark Gable (non l'avevo ancora detto? Sì, stiamo parlando di Clark Gable) avesse preso un velatissimo due di picche e fosse tornato nella sua stanza d'albergo, solo, frustrato, e un pelino colpito nell'orgoglio.



Ma codesta dotatissima donna, che evidentemente sapeva come giocare le sue carte, fece piazzare dal valletto dell'hotel una coppia di colombe bianche svolazzanti a far sorridere il bel Gable al risveglio.
Pace fatta.
Due settimane dopo, nuova festa, nuovi balli, nuova scenata dei due, l'una esce sbattendo la porta, lui la rincorre sbraitando, fanno pace giocando a tennis in vestito di gala, e solo al match point (era ora) lei le getta le braccia al collo e lo bacia.


Ricapitolando: due di picche a Clark Gable, regalo rappacificatore a Clark Gable, parolacce a Clark Gable, bacio di propria iniziativa a Clark Gable.
La diva, insomma, è dotata di attributi notevoli.

Questa eroina romantica e determinata risponde al nome di Carole Lombard.



"These days a girl has to be modern or else be a wallflower."
(Di questi tempi una ragazza o è moderna, o è tappezzeria)



I due si corteggiano e frequentano per molti mesi, nel 1938 lei lo aiuta a preparare la scena di ballo del film "Idiot's delight".


Non sappiamo se, senza l'aiuto di Carole, Clark avrebbe fatto una figura barbina, ma tant'é che... Amore fu.

Oltre ogni fantasia partoribile dal più ardito sceneggiatore (che so, uno che si inventi di un aereo che si schianta su un'isola dove niente e nessuno sono quello che sembrano in una allegoria di spazio/tempo, vita/morte, peccato/redenzione... una cosa così), Gable pretende un sacco di soldi per fare un film che non vuole fare per poter divorziare dalla moglie, e durante una pausa di un paio di giorni dalle riprese di quello stesso film i due fanno la Fuga d'amore. Ma mica mentre giravano un filmetto a caso, no, questi corrono a sposarsi NEL MEZZO DELLE RIPRESE DI "VIA COL VENTO".
L'unico invitato alle nozze è l'agente di Clark che si sono portati dietro a fare da testimone, e il ricevimento di una fra le coppie più sensazionalmente romantiche della storia di Hollywood consiste in panini e caffé consumati in macchina.

I due sono felici, vivono insieme in un ranch fra cavalli e oche, sono belli, intelligenti, di successo e innamorati.



Se questo fosse un post natalizio in piena regola dovrebbe fermarsi qui.

-_-


La verità è che proprio sotto il Natale di 70 anni or sono, gli Stati Uniti entrano in guerra, Carole ha appena finito le riprese di un film satirico sul nazismo ("To Be or Not to Be", im-per-di-bi-le), e subito parte in un viaggio per l'intero paese a vendere bond di Stato per sostenere lo sforzo bellico.
Si narra che in una manciata di giorni abbia racimolato una cifra vicina ai 2 milioni di dollari, e fosse pronta, una sera di mezzo gennaio del 1942, a tornare a casa.
Si narra che l'addetto stampa della MGM con cui doveva rientrare tentò di convincerla a prendere il treno, ma lei, ansiosa di tornare fra le braccia dell'amato marito, propose un lancio della moneta, e si narra che la moneta avesse decretato di prendere l'aereo.
E l'aereo presero, lei, sua madre, l'agente, e quindici militari che rientravano alla loro base. Tutti persero la vita nel pauroso incidente di volo di quella sera.
Nessuna spiaggia hawaiana per loro, ma il profilo aspro e coperto di neve delle montagne del Nevada, che resero impossibile l'arrivo dei soccorritori per molte ore, mentre il povero Re di Hollywood che veniva dalle fabbriche e dai carrozzoni cercava inutilmente di raggiungere a piedi i resti dell'unica donna che gli avesse mai tenuto testa.
Chiunque conoscesse Clark Gable diceva che dopo la morte di Carole non fu mai più lo stesso.
Che i matrimoni, la ripresa della carriera, il figlio in arrivo non furono che un pallido cerotto su una ferita che non seppe rimarginarsi, tanto che, alla sua morte, fu accanto a lei, a Carole, che venne sepolto.





Buon Natale, Lindy Hoppers, che le sale da ballo, la Rumba, la passione e le follie d'amore accompagnino il vostro fine 2011, e che, amici miei, a gennaio 2012, Trenitalia ricominci a costar meno di Ryanair.


































Lindynerd.

mercoledì 30 novembre 2011

OPEN SPACE

Con questo post inauguriamo lo spazio che RLH vuole essere, un luogo aperto dove ogni appassionato di Lindy Hop e dintorni possa condividere le sue esperienze e conoscenze con gli altri.

-> Per la pubblicazione basta inviare il testo all'indirizzo email
romanlindyhoppers@gmail.com

Questo di seguito è stato scritto da Ilario sulla bacheca del gruppo su Facebook, e lo ripubblichiamo volentieri qui.
In attesa di nuovi contributi... buona lettura.

"Agosto 2010, mi trovavo a Eause, una piccola cittadina in provincia di Tolouse.
Che settimana ragazzi! Il summer camp organizzato da Studio Hop è uno dei festival che ricordo con più piacere. Mi sono divertito tantissimo! Musica fantastica e tanta gente spensierata che conviveva a ritmo di musica, sembrava di essere in una grande famiglia.
Non è stato solo un intensivo di ballo, è stata un'esperienza di vita.
Il Lindy Hop è questo: vita, vita vissuta a pieno! Chiunque l'abbia provato e ci sia dentro sa di cosa parlo. Dietro questo ballo c'è un vero e proprio movimento culturale che accomuna la gente, che crea unione, che regala il sorriso anche nei momenti più duri della nostra vita. Ogni workshop a cui ho partecipato mi ha regalato nuove fantastiche esperienze.

Ora fremo pensando che tra pochi giorni inizia un'altra grande avventura, proprio qui a Roma, con lo Shout Sister Shout (sicuramente sarà un successo come l'anno scorso: ringrazio Silvia e gli altri organizzatori).
Ho iniziato a scrivere riferendomi al summer camp del 2010 semplicemente per raccontarvi un piccolo ricordo che è riaffiorato alla mia mente vedendo il post relativo alla grande sfida tra Chick Webb e Count Basie (complimenti a Mario che lo ha pubblicato).
Era una calda notte d'estate, c'era un meraviglioso cielo stellato e io non riuscivo a smettere di ballare; la musica era veramente coinvolgente, suonavano i "Magic Shookheads"; ero incantato dalla passione con cui quei musicisti accendevano le nostre nottate e da come si divertivano a vederci ballare.



Il giorno dopo a pranzo mi ritrovai a chiacchierare con il sassofonista, gli feci i miei complimenti e lo ringraziai per il regalo della notte precedente, quando lo avevo sentito improvvisare e disegnare con le note qualcosa di inspiegabile, totalmente irrazionale, potente e pieno di energia. Mentre faceva quel pezzo gli si leggeva sul volto l'emozione.
Gli chiesi da dove aveva tratto l'ispirazione.
La sua risposta mi aprì le porte verso un nuovo mondo: "Dai sorrisi dei ballerini! Ci sono momenti, quando sono in mezzo a tutta quella gente che si diverte, in cui mi sento di poter esprimere le loro emozioni, mi piacciono le figure che il movimento dei loro corpi disegnano, sento un brivido e quel brivido cerco di infilarlo nel mio sax."
Giusto il giorno prima avevamo fatto una lezione di musicalità in cui ci avevano spiegato quanto sia importante sentire e seguire la musica, cercando di rappresentarne la sua energia e ciò che essa provoca in noi. A questo punto, di fronte a questo gioco di creazione continua, la mia passione per questo ballo non aveva più limiti.
Musicisti e ballerini per qualche ora volano insieme, in un'atmosfera in cui si respira solo gioia e felicità.
PIÙ PERSONE CI SONO E PIÙ CI SI DIVERTE.
LINDY HOP È PRIMA DI OGNI ALTRA COSA UN MOVIMENTO SOCIALE.
Il ballo non é solo un insieme di passi eseguiti a ritmo, ma molto di piú. Si puó leggere la musica e rappresentarla, esprimere la sua energia, mostrare la sua gioia e a volte anche la sua tristezza, la sua ironia, si può giocare tanto con lei e ci si diverte da pazzi. I passi sono solo il mezzo attraverso cui il corpo dei ballerini può rendere reali le fantasie dei musicisti.
Sulle piste da ballo la musica prende vita, si possono leggere le note di ogni strumento.



Le mani e le bocche degli artisti si muovono... escono dagli strumenti, vibrano nell'aria, prendono corpo sulle piste, sono note... ora sono corpi che si muovono connettendosi tra loro alla perfezione e creando quelle forme e situazioni che la musica suggerisce alla mente in quell’istante.
È un po' come in un’opera di teatro in cui non ci sono parole, tutto il messaggio è trasmesso attraverso l’espressione corporale. I musicisti, felici persi nei loro sogni, grazie ai ballerini possono visualizzare quello che prima era nella loro mente e a volte si stupiscono, vedono qualcosa di nuovo, non proprio come lo avevano immaginato e allora hanno una nuova ispirazione...ecco si inizia di nuovo a creare, la musica cambia e si ricomincia.
Questa magia è possibile solo se la gente si diverte!
Dunque Lindy Hoppers: abbandonatevi alla musica, ballate finchè non sarete esausti ma soprattutto... DIVERTITEVI!

Ilario Ritacco :-) "


martedì 8 novembre 2011

Everybody else is doing it
so why can't we?



Ovvero, in rete impazzano i Blog Candy, o Giveaway, e noi di RLH, che, pur con testa e piedi sempre immersi in un'altra epoca, siamo super fighi al passo coi tempi, potremmo mai essere da meno?


Tuttaltro, siamo dunque qui per presentarvi il nostro primo, ineguagliabile, inarrivabile, insuperabile...


SWINGAWAY!!!

Le regole per partecipare a questo gioco gratuito sono semplici, ma vanno rispettate alla lettera!

Innanzitutto, in quanto ROMAN Lindy Hoppers, per partecipare dovete essere di Roma, o quantomeno bazzicarla, essere del giro, farci una capatina ogni tanto, insomma.

Poi, se avete un profilo Facebook, troverete in questa pagina tutte le istruzioni.

Se proprio non state su Facebook, e non avete intenzione nell'immediato futuro di aprirvi un profilo, per voi, ma SOLO per voi, le regole sono le seguenti:

1) Scrivere un commento *di senso compiuto* ad ogni post di questo BLOG (è facile, sono due).

2) Commentare questo post con "Partecipo, condivido, triplo step" e aggiungere un argomento Lindyhopperistico che vorreste vedere trattato sul BLOG. Inserite sempre un indirizzo e-mail al quale rintracciarvi per la vincita.

3) Condividere per quanto potete questo SwingAway fra persone che non vi partecipino già: potete usare Twitter, Google+, un'e-mail, o anche fare una cara vecchia telefonata. Poiché queste ultime condivisioni non possono essere da noi verificate (ma confidiamo nel fatto che se vi ostinate a non stare su Facebook all'alba del 2012 siete persone lungimiranti e assennate), ci fidiamo.

4) Opzionale: potete postare un secondo commento, che vi raddoppierà la possibilità di vincere, solo ed esclusivamente se siete blogger e dedicherete un post allo SwingAway.
Nel commento dovrete allegare il link alla pagina relativa del vostro blog.

Se avrete rispettato tutti i punti verrà assegnato un numero progressivo ai vostri commenti, che servirà per l'estrazione finale.

Detto questo, la cosa più importante... il Premio!

Ci auguriamo che questo possa essere il primo di una lunga serie di SwingAway, ma non potevamo non mettere al primo posto, quello più importante, lui che è il cuore e l'anima del Lindy Hop, Frankie Manning, e la sua autobiografia: AMBASSADOR OF LINDY HOP.


La copia in palio è in inglese (non ne esiste traduzione, per ora), e verrà consegnata a mano durante la serata "SWING ALL NIGHT LONG!" del 26 novembre a Roma, durante la quale, ospiti di Lalla Hop, estrarremo e proclameremo il vincitore/vincitrice.



Se siete Lindy Hoppers NON POTETE non aver letto questo libro;
ma anche se amate il ballo in generale,
o quel periodo storico,
o semplicemente le storie straordinarie,
è un delitto privarvi del racconto della vita di Frankie Manning,
che è insieme comica, positiva, d'ispirazione
e piena di emozioni.


Ed è davvero il caso di augurare a tutti...